lunedì 27 novembre 2017

Juno.00008.005 - Hera - 005


Dopo quest'episodio di "due diligence = attenta verifica", in cui il medico (od i revisori dei conti) avevano vuotato il sacco su quello che non andava bene nella gravidanza (o nel bilancio di un'azienda), tutto procedette bene: i successivi controlli evidenziarono buona salute di madre e figlie, ed Hera riuscì a stabilire una buona amicizia con Rebecca, che le consentì di intrattenersi di tanto in tanto con Juno.

Anche Rebecca avrebbe voluto approfittarne (ed anche Yemoja e Xiuhe non videro in Hera solo una paziente), ma Hera non voleva avere a che fare con genitali femminili diversi dai propri, per cui il rapporto con le donne diverse da Juno fu molto amichevole e cameratesco, ma niente di più.

Un giorno però Yemoja e Xiuhe convocarono un consiglio di famiglia (anche Giaele, che si era definitivamente stabilita a La Maddalena, fu invitata) per presentare un loro progetto scientifico, detto in codice "Yggdrasill".

"Yggdrasill è il frassino cosmico invisibile che unisce i nove mondi dell'universo secondo la mitologia norrena", disse Debora, e Yemoja aggiunse: "Una funzione simile ha l'albero di palma nella mitologia Yoruba. Ma abbiamo imparato che i nomi nordici hanno più successo di quelli africani".

"Tamar", osservò Juno, "che in ebraico vuol dire 'palma', sarebbe stato un bel nome", ma Yemoja la fulminò con lo sguardo, prima di riprendere a parlare.

"Se l'albero ha le radici", disse Yemoja, "il feto che ha?"

"La placenta", rispose Hera, "che volete farne?"

"Dotarla di proprietà fotosintetiche in modo che diventi un vero albero capace di nutrire per la vita il suo titolare".

Tutte aprirono la bocca per lo stupore; Hera chiese: "Non è che il titolare fa la fine del dio Odino, che per acquisire la dote della divinazione si appese, trafitto con una lancia, per nove giorni alle fronde di Yggdrasill?"

"Non è previsto", rispose Xiuhe, "ma se accadesse ne saremmo contente".

Più seriamente rispose Yemoja: "L'albero diverrebbe la fonte di sostentamento principale del suo titolare, che dovrebbe solo succhiarne la linfa attraverso una specie di capezzolo".

"E con i gemelli monovulari o siamesi come le mie figlie, che hanno una placenta sola, che si fa?", chiese Hera, e Yemoja rispose: "Siamo convinte di riuscire a far sviluppare due o più capezzoli in casi come questo. Ma noi trasformiamo solo le placente, non i neonati. Se la trasformazione fallisce, mangiano esattamente come tutti gli altri".

"Avete fatto già esperimenti sugli animali?", chiese Juno, "non sembra un esperimento crudele, visto che la placenta verrebbe comunque ingerita o distrutta dopo il parto".

"Con i gatti funziona benissimo", rispose Xiuhe, ed Hera commentò: "Mi state dicendo che quei 'bonsai' che avete piantato lungo il confine tra il campo nudista e la strada sono placente di gatto trasformate? E per questo il campo nudista/ristorante ha più mici di un centro di pet therapy?"

"Brava", disse Yemoja, e Xiuhe aggiunse: "Finora l'esperimento riesce solo con le placente di micia - sembra ci sia un fattore inibitore codificato nel cromosoma Y. Crediamo di averlo individuato e neutralizzato, e la placenta delle tue figlie, che come loro ha cariotipo 46,XY, sarebbe l'occasione per provare anche questo particolare, non solo se anche le placente umane possono essere trasformate".

"Scusate, scusate, scusate", disse Juno, "Non sarebbe più comodo provare la trasformazione di una placenta umana partendo da un caso più semplice, anziché dal complicato caso di Edna ed Ester?"

"Prova a chiedere delle puerpere se possiamo avere le loro placente per questo scopo, e dimmi quante accettano", rispose Yemoja, e Xiuhe aggiunse: "Per non parlare dei casini che ci pianterebbero i comitati etici di ogni ordine e grado".

"La famosa Dichiarazione di Helsinki del 1964 sulle ricerche mediche sugli esseri umani", commentò Juno, "impone questo".

"Vuoi che redigiamo un protocollo di ricerca ai sensi di quella dichiarazione?", chiese Yemoja, "Ve lo portiamo domattina".

Hera intervenne: "Juno, sono io la diretta interessata", e Juno fece un gesto con la mano per dire: "Scusate l'intromissione".

Hera riprese: "L'idea mi piace, però vorrei vedere appunto il protocollo di ricerca, e guardare da vicino i famosi 'bonsai', per capire che cosa possono aspettarsi le mie figlie".

"Ma anche subito!", rispose Yemoja, ed invitò tutte a salire in macchina ed a recarsi al campo nudista.

Lì videro appunto i 'bonsai' ed i gatti che ne succhiavano la linfa, e poi si sdraiavano beati sulle loro radici.

"Questi 'bonsai' possono riprodursi?", chiese Juno e Yemoja scosse la testa dicendo poi: "Non hanno organi riproduttivi. Stiamo verificando la possibilità di 'rigenerazione', ovvero se staccandone un ramo, trattandolo in laboratorio e poi piantandolo nasce un altro 'bonsai'. Sarebbe opportuno per garantire il perenne sostentamento al titolare".

"E magari la placenta delle mie figlie vi darebbe la possibilità di provare anche questo", osservò Hera, mentre Rebecca misurava la superficie occupata dalle placente trasformate in radici, fece il rapporto tra superficie e peso corporeo dei mici, ed alla fine concluse: "Un micio di cinque chili ha bisogno di un 'bonsai' alto 50 cm, e con radici e corona che occupano un metro quadro di superficie. Se lo stesso rapporto vale per gli umani, il classico adulto di 80 kg ha bisogno di 16 metri quadri di superficie, cioè di un quadrato di 4 metri di lato - quanto sarà alto il suo 'albero' non lo posso sapere. Una 'piantagione' da un ettaro potrebbe mantenere 625 persone (diecimila metri quadri diviso 16); cento ettari fanno un kilometro quadro, e quindi una 'foresta' potrebbe mantenere 62.500 persone per kilometro quadro".

"La Sardegna ha 24.090 Kmq", osservò Juno, che aggiunse, dopo aver fatto i calcoli col telefonino: "Se fossero tutti trasformabili in 'foresta', l'isola potrebbe mantenere 1 miliardo 525 milioni 625 mila persone".

"Addio fame nel mondo", disse Debora, "Chiudiamo il ristorante e concentriamoci sulla gioielleria di famiglia".

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