venerdì 28 ottobre 2022

Gabriella.0004 - L'assenso

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Ciccio si svegliò sentendo che qualcuno lo stava pettinando, e vide la giovinetta che lo stava facendo.

“Ciao. Che fai? Chi sei?”, lui chiese, e la ragazza rispose: “Mi chiamo Minna. Ho ceduto all’istinto felino di pettinare colui a cui voglio bene”.

“Col pettine e non con la lingua. Brava”, rispose Ciccio, che si guardò intorno e vide altre tre ragazze che stavano preparando la colazione.

“Siete le ragazze in cui si è trasformata la mia gatta Gabriella?”, chiese Ciccio, e Minna annuì.

“Come vi chiamate? Come ci siete riuscite?”, chiese Ciccio.

“Io sono Anna”, disse quella che stava facendo il caffè; “Io sono Elisa”, disse quella che stava preparando dei panini con burro e marmellata; “Io sono Ida”, disse quella che stava tirando fuori dal frigo dello yogurt – e Minna spiegò: “Sappiamo anche leggere, non solo parlare. Così abbiamo letto stamattina la preghiera ad alta voce e siamo diventate umane”.

“E come avete fatto ad imparare a fare la colazione?”, chiese Ciccio, e Minna rispose: “Ricordiamo tutto quello che abbiamo visto e sentito da quando nascemmo in forma umana nel 1078”.

Ciccio provò con un po’ d’imbarazzo a chiedere alle ragazze: “Ehm … perché non vi vestite?”

“Perché quando eravamo la tua gatta non ci siamo mai vestite. Ti turba?”, rispose Minna, e Ciccio ammise: “Frequento abitualmente campi nudisti, non ho il diritto di emozionarmi. Semmai … una di voi non aveva il ciclo?”.

“Finito”, rispose Elisa, “Non macchio nulla”.

Ciccio si sedette a tavola con le ragazze, e chiese loro: “Volete diventare permanentemente umane?”

Le ragazze si misero a ridere, ed Minna disse: “Toh, ecco il primo che ce lo chiede. Nel corso dei secoli abbiamo dovuto scappare da chi ci voleva costringere a questo”.

“Non volete farlo?”

“È solo nel tuo secolo che una donna è più libera di una gatta”, disse Anna, ed Elisa aggiunse: “Meglio vivere libera acchiappando sorci che schiava mangiando bistecche”.

“Tu, Ida?”, chiese Ciccio, ed ella rispose: “I nostri umani sono stati scelti dalla Provvidenza per come amavano le gatte, non per come amavano le donne”.

“Non pensate che potrei essere diverso?”, chiese Ciccio, le donne tacquero per un attimo, ed improvvisamente si ritrasformarono nella gatta Gabriella.

“Cos’è successo? Che devo fare?”, chiese Ciccio, e la gatta, parlando con la voce di Minna, rispose: “Ci siamo distratte un attimo e ci siamo scordate di dire la preghiera per prolungare la nostra fase umana. Se ci dai da mangiare poi la recitiamo e ci ritrasformiamo”.

Ciccio diede a Gabriella una razione abbondante di crocchette, e la micia poté ritrasformarsi in Anna, Elisa, Ida, Minna – che però non erano sazie e divorarono quello che c’era in tavola.

“Sei sicura che ti convenga mantenere quattro ragazze anziché una sola gatta?”, chiese Minna, e Ciccio rispose: “Mi piacerebbe molto vivere con quattro ragazze. Il problema è che non potete rimanere senza documenti. Dovrei denunciarvi all’anagrafe, e non saprei come fare”.

“Non mancano gli avvocati a Bosa”, disse Anna, “Puoi chiedere a loro”.

Ciccio tacque un attimo, e poi si rivolse ad Elisa: “La gatta Gabriella è stata sterilizzata – le sono state rimosse le ovaie e l’utero. Com’è che tu hai il ciclo?”

“Me ne stupisco anch’io”, rispose Elisa, “Credo ci voglia una visita medica”.

“E ci vogliono dei documenti per questo”, osservò Ciccio.

“Il rabbino Yoel è un avvocato”, osservò Ida, “Così almeno dice il suo biglietto di visita”.

“Allora gli dico che acconsentite a diventare permanentemente umane”, chiese Ciccio, “E deve perciò pensare a denunciarvi all’anagrafe?”

Le quattro ragazze si guardarono, e Minna disse: "Si può evitare di rivolgersi a lui?"

"Perché?", chiese Ciccio, e Minna rispose: "Di te ci fidiamo del tutto, del rabbino Yoel un po' ci fidiamo, ma dei dieci maschietti che pregheranno per noi e dopo la trasformazione ci vedranno nude ci possiamo fidare?"

"Non li conosco", disse Ciccio, "Spero che il rabbino convochi solo persone per bene".

"In nove secoli e mezzo abbiamo assistito a tante violenze contro le nostre umane, che non siamo riuscite ad impedire", disse Minna, "Capisci ora perché ci fidiamo poco?"



(Segue)

domenica 20 febbraio 2022

Gabriella.0003 - Transitoriamente

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“Che sta guardando nel suo telefonino?”, chiese Rav Yoel, e Ciccio rispose: “Cerco preghiere da usare per ridare forma umana alle anime dentro la mia gatta”.

Rav Yoel rispose trattenendo un sogghigno: “Non sia ingenuo. Queste preghiere non si trovano neanche nel Dark Web. Stabilirò con i miei colleghi un rituale da usare. Una cosa gliela posso chiedere intanto?”

“Sentiamo", rispose Ciccio, e Rav Yoel disse: “Servono quattro vestitini da donna, taglia 46. Non devono essere sontuosi - bastano quelli che una massaia indossa mentre cucina”.

Il giorno dopo Ciccio comprò i vestitini in un negozio di cinesi - la commessa glieli procurò dello stesso taglio, ma di diversi colori, e gli fece pure lo sconto. Mentre pagava, nel negozio entrò Yael, la moglie del rabbino.

“Buongiorno, Ciccio. Vedo che lei ha preso i vestiti che ha prescritto mio marito”, disse Yael, e Ciccio rispose: “Sì - serve altro?”

Yael gli sussurrò nell'orecchio, e Ciccio comprò anche biancheria intima per signora ed una confezione di assorbenti mestruali, dicendo fra sé: “Beate le gatte che non hanno questo problema”.

Quella sera vennero a trovare Ciccio Rav Yoel e la sua signora Yael; mentre la micia saltava in grembo a Yael, Rav Yoel mostrò a Ciccio un fascicolo con le preghiere da recitare, e gli chiese se poteva mettere la lettiera della micia in un'altra stanza, “perché è vietato pregare dove ci sono degli escrementi - anche i bambini piccoli creano complicazioni ai loro papà”.

Yael fece invece una domanda a Ciccio: “Vedo che la sua casa è un terracielo. All’ultimo piano cosa c'è?”

“Una camera matrimoniale con bagno, signora”.

“Si potrebbero portare la gatta e gli indumenti lassù?", chiese il rabbino, e Ciccio prese in mano la gatta, si incamminò verso la scala e disse: “Seguitemi. Portate voi per favore i vestiti”.

Una volta lassù Yael mise i vestiti sul letto matrimoniale addossato alla parete ovest, mentre Rav Yoel diceva a Ciccio di tenere la micia in braccio volgendo le spalle alla parete est; il rabbino si volse verso Ciccio e la micia, cominciò a pregare, ed alla fine la gatta scomparve sostituita da quattro donne nude, che scesero dalle braccia di Ciccio, e s'incamminarono verso il letto matrimoniale, in direzione dei vestiti e di Yael.

Yael disse ai due uomini: “È meglio che usciate - queste donne non sono le vostre mogli e finché non sono vestite non le potete guardare”.

Mezz'ora dopo però Yael strillò, richiamando in camera Yoel e Ciccio - che videro la gatta dentro uno dei vestiti, e nessuna traccia delle donne.

“Marito mio, che è successo? È stata solo un'illusione?", chiese Yael, e Ciccio osservò: “Illusione non è stata: sul letto vedo un assorbente macchiato”.

Rav Yoel rilesse il fascicolo e con una smorfia disse: “La trasformazione è solo transitoria, a meno che queste preghiere non vengano recitate da un minyan, ovvero dieci ebrei maschi adulti nella medesima stanza”.

“Non si può fare”, disse Ciccio, “Facciamo i conti: lei, altri nove oranti, io che devo portare qui la gatta, le quattro donne che la sostituiranno, e sua moglie che le deve assistere - sedici persone qui dentro non ci stanno! Affittiamo una sala?”. 

“No, perché la pubblicità sarebbe tanto inevitabile quanto indesiderata. Potremmo invece portare la gatta nella mia sinagoga, convocare un minyan, e completare così l'operazione”, rispose il rabbino, ma la moglie indicò il sole che stava per tramontare, e di Sabato non si parla neanche di ciò che in quel giorno non si può fare.

Il rabbino e sua moglie salutarono quindi Ciccio, dandosi appuntamento per la domenica successiva; poiché è vietato portare oggetti dentro o fuori casa di Sabato, il rabbino lasciò il fascicolo a casa di Ciccio.

Quella notte Ciccio entrò nel divano-letto matrimoniale della stanza al pianterreno (tecnicamente, un salotto con angolo cottura ed antibagno e bagno a lato - Ciccio e la micia risparmiavano riscaldamento e condizionamento stando quasi sempre in quella stanza) e la gatta lo seguì; Ciccio coccolandola disse: “Ti voglio bene”, e la micia rispose: “Anche noi tanto!”

“Ma ... micia! Tu parli!”

“Questo effetto della preghiera non è transitorio!”, osservò la micia, che continuò, cambiando voce: "Il rabbino è un po' maschilista, non gli importa di ascoltare le donne, e perciò non ha badato ad un'avvertenza in fondo al fascicolo”.

“Se io recitassi di nuovo la preghiera che accadrebbe?”, chiese Ciccio, e la micia, cambiando ancora voce, rispose: “Per favore, non farlo. Trasformazione e ritrasformazione ci hanno stancato molto. Ci dai una razione extra di cibo e ci mettiamo a dormire?”

venerdì 18 febbraio 2022

Gabriella.0002 - Post COVID

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“Buonasera, Bastiano”.

“Buonasera, Ciccio. Mi spieghi perché tutte le volte che qui a Bosa si parla di cose ebraiche, la tua gatta viene ad arruffianarsi il conferenziere, e tu devi venire a riprenderla?”

“Devi chiederlo a lei. Con chi parla di altre cose è molto fredda, invece”.

“Tra l'altro, questi incontri sono gratuiti, ma con prenotazione a causa del COVID. Non c'è bisogno di mandare lei in avanscoperta”.

“Lei è una gatta, non una cagna. Va dove vuole lei, non dove vorrei io”.

“Buonasera”, disse un signore vestito come un chassid con una gatta in braccio, “È lei l'umano della micia?”

“Sì, la perdoni”, rispose Ciccio, ed il chassid rispose: “Perdonatissima. Le spiace parlarmi in privato dopo la conferenza? La sua gatta ha una peculiarità che le debbo spiegare”.

La conferenza era sulla reincarnazione nella Qabbalah, ed al termine il conferenziere rav Yoel Ben Nun, il sindaco di Bosa e Ciccio si recarono al ristorante “Pardes Rimmonim = Giardino dei Melograni”.

Come ricordava Ciccio, era nato come ristorante vegano crudista e naturista, ma il COVID aveva obbligato le proprietarie a vendere, e l'acquirente ne fece un ristorante kasher (solo carne, a scanso di complicazioni), con rav Yoel Ben Nun come “mashgiach = ispettore”, che garantiva la kashrut del locale.

Non è che un ristorante giapponese organizzi seminari di iamatologia, ma il nuovo proprietario del Pardes Rimmonim ritenne che delle conferenze di ebraistica fossero un modo alto ed efficace di fare pubblicità al locale - e Gabriella, la gatta di Ciccio, ne era la frequentatrice più assidua.

Dopo cena rav Yoel prese da parte Ciccio e gli chiese: “Ha ascoltato bene la conferenza?”

“Sì. C’entra con la gatta?”

“Sì. Secondo la Qabbalah, una persona può reincarnarsi in un animale, ed un corpo può ospitare più anime precedentemente appartenute a diverse persone”.

“Questo è successo alla mia gatta?”

“Pare proprio di sì. La sua gatta ospita l’anima di quattro donne ebree, trucidate durante il pogrom di Worms del 1096”.

“E come mai si sono reincarnate proprio in lei?”

“Qualcuno ha pronunciato un incantesimo che ha fatto passare le anime di costoro in una gatta, che le ha poi trasmesse alla sua figlia maggiore, e costei alla nipote, fino alla sua micia”.

“E adesso?”

“E qui c’è una complicazione: la sua gatta ha un orecchio spuntato. Vuol dire che è stata sterilizzata?”

“Sì. Lei mi capisce, non posso accudire due o tre cucciolate l’anno per 10-20 anni”.

“Lei non avrebbe dovuto farlo. Il Signore lo ha espressamente vietato nella Torah”.

“Ai soli ebrei, ed io non lo sono”.

“Lei crede?”, chiese rav Yoel, sbalordendo Ciccio.

Rav Yoel riprese: “Quello che è fatto è fatto. Il problema è che occorre far riassumere a queste quattro donne forma umana. Se la gatta avesse generato quattro micine insieme, ognuna di esse avrebbe ricevuto un’anima, ed alla successiva reincarnazione ognuna di loro sarebbe entrata in un corpo umano. Queste anime rischiano invece di estinguersi alla morte della sua gatta”.

Ciccio osservò: “Se le antenate della mia micia non sono state capaci di generare quattro micine insieme, ma solo una ogni volta, questo spiega perché tutte e quattro le anime siano passate a quella micia. Ma lei ha spiegato nella conferenza che il reincarnarsi in un animale è una punizione – com’è che è durata oltre mille anni?”

Rav Yoel rispose: “Il Talmud [Eruvin 100b.29] dice che l’essere umano avrebbe potuto imparare la modestia dal gatto, e mi sa che queste donne avevano molto da imparare. Comunque, la punizione è al termine, ed ora occorre aiutarle a ritornare umane”.

Gabriella.0001 - Pogrom

 (Inizio)

“Buonasera, Tzitzu. Ma perché mi avete portato il formaggio a quest’ora? Sta tramontando il sole, è già cominciato il Sabato!”

“Buonasera. Rabbino. Mi spiace, si era sfilato un ferro all’asino, sono dovuto smontare, abbiamo preso il sentiero più facile e l’ho accompagnato prima dal maniscalco”.

“Povera bestia! Avete fatto bene. Sentite, il modo per consegnarmi il formaggio c’è, ma non per pagarvi fino al tramonto di domani. Di me vi fidate?”

“Certamente. Ci conosciamo da un pezzo”.

“Benissimo. Voi posate il formaggio sulla soglia, ed io lo porto dentro. Così non violo il Sabato. Ma non posso pagare nessuno di Sabato, e quindi lo faccio domani”.

Tzitzu non perse tempo ad acconsentire, ma cominciò a scaricare l’asino come lo aveva istruito il rabbino, ed in pochi minuti ebbero finito e si salutarono.

La sera dopo Tzitzu passò a ritirare i soldi, ed il rabbino, mentre lo pagava, disse: “Volete passeggiare con me? Devo farvi una proposta”.

“Non è di matrimonio, immagino”, rispose scherzando Tzitzu, ed il rabbino rispose, iniziando la passeggiata ed agitando la mano in segno di diniego: “Mia figlia è già promessa – ma in qualche modo c’entra. Il suo promesso sposo viene dalla Germania, ha trovato delizioso il vostro formaggio, e vorrebbe rivenderlo nella sua città, a Worms”.

“Quanto mi pagherebbe vostro genero?”, chiese Tzitzu, ed il rabbino rispose: “Tre quattrini alla libbra, anziché un denaro intero come pago io – ma lui è disposto a comprare anche mille libbre di formaggio all’anno …”

“… Per un totale di 3 lire, 2 soldi, 6 denari”, interruppe Tzitzu dopo un rapido calcolo, “Più di quanto avrei mai sognato di guadagnare in vita mia. Ma non ho abbastanza pecore per produrre tutto quel formaggio”.

“Possiamo finanziarti”, disse il rabbino, “Intendo dire, io ti faccio da garante presso il feneratore, e con i soldi che ti presta tu compri le pecore”.

Tzitzu non comprò solo le pecore – anche i paioli e tutti gli attrezzi per produrre il formaggio, e dovette assumere dei servi-pastori che gli costruissero ovili e capanni, oltre a badare alle pecore, e si procurò pure degli asini per il trasporto e dei cani da guardia.

Venne a trovarlo in campagna il rabbino, e Tzitzu gli chiese: “Che vi succede, rabbino?”

“Chiamatemi pure Iochanan, o, nella vostra lingua, Iuvanne”, egli rispose, “Mi hanno semplicemente spaventato i vostri cani: ritenendomi un intruso mi fissavano come se avessero già deciso come sbranarmi. Per fortuna non mi hanno aggredito”.

“Devo difendere i miei beni ed il vostro formaggio”, rispose Tzitzu, “Ma dopo una dozzina di volte che venite qui vi faranno le feste. Siete venuto a controllare la fabbricazione del formaggio?”

“Sì, ma c’è un altro problema”, disse Iuvanne, e mostrò un topino che aveva appena preso per la coda, dicendo: “I cani vi difendono dai lupi a due gambe (quelli a quattro zampe in Sardegna non ci sono), ma dai topi vi devono difendere i gatti”.

“E dove li trovo?”, chiese Tzitzu, ed il rabbino rispose: “Mia figlia è una gattara, e può darvi dei gatti che spaventano e prendono i topi. Vi rammento che il formaggio piace anche ai gatti, quindi non lasciatelo comunque incustodito”.

I gatti li portò il mese dopo Eliyahu, il genero di Iuvanne – il matrimonio si era già celebrato, ma avevano fatto prima le gatte a generare i micini di Avigail a dargli il primogenito.

Eliyahu disse a Tzitzu: “Sono molto contento di voi e del vostro formaggio, tant’è vero che mi sono permesso di passare dal feneratore e saldare il vostro debito …”

“Grazie, ma avrei preferito usare quei soldi per alcuni lavori prima di restituirli”, rispose Tzitzu, ma Eliyahu disse: “Non vi preoccupate, il feneratore vi ha concesso una linea di credito – in una parola, ve li ripresterà volentieri. Volevo invece invitarvi a venire con me a Worms”.

“A far che?”

“Chi comprerà il formaggio non comprerà un cibo qualunque, ma un formaggio fatto da voi. Mio suocero ed io ne garantiamo la qualità, ma conoscervi personalmente sarà il miglior argomento per acquistarlo”.

“Il formaggio viene lavorato in autunno. In inverno potrei lasciare le pecore ai servi-pastori ed accompagnare voi ed il vostro formaggio”.

Così fu deciso, ma il maltempo fece rimandare la partenza fino all’inizio della primavera, e Tzitzu ritenne inopportuno lasciare il gregge quando nascevano gli agnelli, per cui infine Eliyahu e Tzitzu a metà aprile del 1096 s’imbarcarono da Bosa per Genova con l’intenzione di proseguire per Worms, accompagnati da Gabriella, la gatta preferita da Tzitzu, che doveva difendere il formaggio.

Vi giunsero a fine mese, quando la Prima Crociata, bandita il 27 dicembre dell’anno prima, si stava trasformando da una spedizione verso il Santo Sepolcro in una serie di pogrom contro le comunità ebraiche di Germania.

Eliyahu accompagnò Tzitzu a casa della zia Minna, donna ricca e colta di Worms – aveva suggerito ad Eliyahu l’affare e lo aveva finanziato.

Tzitzu la trovò affascinante, ma nessuno dei due parlava la lingua dell’altro, ed oltre un gioco di sguardi non si poté andare.

Il formaggio invece non aveva bisogno di parole, e Minna invitò tre sue amiche a cena quella sera per assaggiarlo.

Alla cena parteciparono anche Tzitzu ed Eliyahu, che tradusse per Tzitzu gli apprezzamenti delle invitate per il suo formaggio, ma dopo la lavanda delle mani al termine del pasto bussarono alla porta.

Era il capo della comunità ebraica locale, che voleva urgentemente parlare con Minna. Lo fece davanti a tutti, e tutti coloro che lo potevano capire si mostrarono sempre più spaventati – finché Minna si volse verso Eliyahu e Tzitzu, dando al primo un ordine che il secondo non capì.

Eliyahu accompagnò Tzitzu in un’altra stanza, prese da un cassetto pergamena, penna e calamaio, si sedette ad un tavolo e scrisse un documento che consegnò a Tzitzu dicendogli: “Questa lettera ordina al feneratore di Bosa di pagarti lui il formaggio in nostro nome e conto. Mi spiace, ora devi scappare perché in questa casa siamo in pericolo, e rischi anche tu di essere ucciso”.

“Adesso mi spieghi che sta accadendo”, disse Tzitzu mentre prendeva in mano la lettera, ed Eliyahu disse: “Ci sono delle persone che per dimostrare la loro fede in Dio ci vogliono ammazzare. Ovviamente hanno torto, ed il vescovo della città, a cui loro dovrebbero obbedienza, ci ha invitato a rifugiarci nel suo palazzo per metterci sotto la sua protezione. Speriamo che ci stiamo tutti lì dentro”.

“Perché, quanti siete?”, chiese Tzitzu, ed Eliyahu rispose: “Più di ottocento”.

Tzitzu aggrottò gli occhi per lo stupore e chiese: “E non potete difendervi?”

Eliyahu rispose: “Ci è stato vietato di portare armi”, prima di accingersi a scrivere un secondo documento, che avrebbe poi consegnato al capo della comunità, il quale fuggì subito via.

“In quella lettera che hai scritto?”, chiese Tzitzu, ed Eliyahu rispose: “I nostri confratelli di Magonza sperano di riscattare la loro vita con l’oro, se i medesimi malfattori assaliranno anche loro, e la lettera serve a procurarglielo”.

“Siete matti”, rispose Tzitzu, “Anche nella mia isola si minaccia la gente di morte se non paga, ma il criminale spesso uccide lo stesso. Quell’oro vi servirebbe per rifarvi una vita altrove”.

“Tzitzu, vattene”, ribattè Eliyahu, “E ringrazia che se qualcuno sospettasse che sei ebreo, ti basterebbe calare le brache per dimostrare che non è vero”.

Tzitzu chiese: “Datemi la mia gatta Gabriella”.

La gatta aveva cenato in grembo a Minna ed a tutte le sue amiche – ma Eliyahu volle prenderla in braccio dicendo: “Permettimi di darle una benedizione prima che ve ne andiate”.

Tzitzu non si oppose, Eliyahu pronunciò delle parole che fecero piangere le donne, ma Tzitzu non capì, ed alla fine lui e Gabriella salirono su un asino e fuggirono, mentre Eliyahu, Minna e le sue amiche si incamminarono verso il palazzo vescovile – presagendo che vi avrebbero trovato la morte.

(Segue)

lunedì 30 dicembre 2019

Bina la vampira

Bina Carbonia stava portando alla sua cliente Angela Eletta un pacco che avevano consegnato al suo B&B Elixir of Life, quando ella sentì un forte calore promanare dal quel pacco e svenne.

Angela stava dicendo: “Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi”, ma quando sentì il rumore di Bina che cadeva sul pavimento si interruppe, aprì la porta e soccorse la donna.

Insieme con Angela c’erano altre persone, ma, essendo ella un medico, disse: “Andate via pure, ci penso io”; vedendo Bina rinvenire, tutti le obbedirono – ma Angela, osservando attentamente Bina, pensò: “Questo sembra avvelenamento acuto da radiazioni – ma perché io e gli altri non ne abbiamo sofferto?” Riconobbe il pacco: lo aveva ordinato il giorno prima, e conteneva ostie da consacrare.

Capì cosa era successo: Bina era una vampira, ed Angela una sacerdotessa vetero-cattolica, la cui chiesa ordina anche le donne; pronunciando la formula della consacrazione aveva involontariamente consacrato anche le ostie del pacco che Bina teneva in mano – ma i vampiri dalle specie eucaristiche debbono stare lontani.

Angela decise di salvare Bina – secondo una pagina Web occorreva innanzitutto far sparire tutte le specie eucaristiche nella stanza (cosa semplice – anche se costrinse Angela a fare indigestione), e poi somministrarle almeno un bicchierino di sangue.

Ad Angela l’idea di pungersi per dare a Bina sangue fresco non piaceva, ma le sue parti intime le vennero in aiuto: aprì dolcemente la bocca di Bina e le versò dentro il contenuto della sua coppetta mestruale, guarendola.

Bina chiese che le era successo, ed Angela glielo spiegò; Bina stupita chiese: “Come mai una sacerdotessa vetero-cattolica ha deciso di salvare quella che per lei è una creatura demoniaca?”

Angela rispose: “Sapevi che ero una sacerdotessa, ma mi hai ospitato comunque. Ho pensato che sarai demoniaca, ma malvagia non lo sei. Ed anche se tu lo fossi stata, tocca solo a Dio giudicarti – il mio dovere era di salvarti”.

“Grazie. Però sono ebrea – com’è possibile che le specie eucaristiche mi abbiano fatto questo effetto?”, osservò Bina, ed Angela rispose: “Questo sembra un miracolo eucaristico. Di solito questi miracoli servono a corroborare la fede dei cattolici che dubitano della presenza vera e reale (la chiesa cattolica romana ed altre dicono anche sostanziale) di Gesù nell’Eucarestia – nel tuo caso sembra invece che tu, pur ebrea, coltivi invece il dubbio che Gesù sia il Figlio di Dio e nell’Eucarestia sia presente in modo vero e reale. Senza questo dubbio, non ti sarebbe successo nulla”.

“Già”, rispose Bina, “Questa storia mi fa venire in mente un passo del Talmud: ‘Se uno se la merita, la Torah diviene per lui una pozione di vita; se non se la merita, la Torah diviene per lui una pozione di morte’ [bYoma 72b]”.

“Diciamo la stessa cosa dell’Eucarestia [1 Corinzi 11:23-32]”, osservò Angela, “e per noi Gesù è il Logos, il Verbo incarnato. Però l’assenso della fede non deve essere forzato, nemmeno da un prodigio – a chi chiese da lui un ‘segno’ Gesù rispose di no [Matteo 16:4]. Non insisto perché tu risolva il tuo dubbio in senso positivo – lascio a te il pensarci”.

Le due donne si misero d’accordo: Angela celebrava la messa nel B&B mentre Bina faceva la spesa, e così Bina non correva pericolo. Bina comprava il vino ed il pane solo il venerdì pomeriggio, anche per il Qiddush del venerdì sera – le due cose venivano tenute in cantina, al riparo dagli effetti della consacrazione.

Ad Angela non dispiaceva partecipare al rituale della Qabbalat Shabbat, facendosi spiegare da Bina alcune cose dell’ebraismo che lei ignorava, ed una sera disse: “Domenica sei libera?”

“Perché?”, chiese Bina, ed Angela rispose: “La mia chiesa tiene un convegno domani – io sono venuta con un paio di settimane d’anticipo perché non ero mai stata a Roma, e non potevo immaginare quello che sarebbe successo”.

“Sei una gran cliente, e non ho subìto danni permanenti”, rispose Bina, “Ma qual è l’argomento del convegno?”

“Le Nozze di Cana”, rispose Angela, “Visto che alcuni relatori cercheranno di darne un’interpretazione ebraica, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere”.

“Sicuramente”, rispose Bina, “Ma vorrei farti una domanda”.

“Chiedi”, rispose Angela, e Bina rispose: “Siete davvero così LGBT+Friendly come fanno pensare i vostri siti?”

“Sì e no. In origine praticavamo la ‘bicancellazione’, ovvero dividevamo le persone in eterosessuali e omosessuali, e consideravamo peccaminose le pratiche omosessuali compiute da persone eterosessuali”, rispose Angela, “Io, che sono bisessuale, ho dovuto faticare molto per spiegare che questa concezione non aveva senso, ma ho convinto la mia chiesa, tant’è vero che mi hanno ordinata. Ai sacerdoti di ogni genere consentiamo di sposarsi, ma al momento sono single. Tu?”

“Il mio nick sui social è ‘Dorifora’ …”, rispose Bina, facendo morire dal ridere Angela, che chiese: “Mangi solo la patata od anche la melanzana?”

“All’occorrenza anche il peperoncino e vado matta per il pomodoro”, rispose ridendo Bina.

“È il mio turno di farti una domanda imbarazzante”, riprese Bina, “Perché ti chiami Carbonia? Molti ebrei hanno un cognome di città, ma Carbonia è stata fondata nel 1937, quindi la tua famiglia non può provenire da lì”.

“È un po’ più complicato”, rispose Bina, “Il mio nome di nascita è Pina Carboni. Quando ho fatto il ‘giyyur = conversione’ ho fatto modificare il mio prenome in “Bina = Intelligenza”, ed il mio cognome in Carbonia, perché vengo proprio da quella città”.

“Anche i tuoi genitori sono vampiri?”, chiese Angela, e Bina rispose: “Mio nonno materno era della Transcarpazia. Uno di quei rari vampiri che sopporta la luce del sole e può aprire un negozio di frutta e verdura pieno di aglio”.

“E come si procurava il sangue per vivere?”, chiese Angela, e Bina rispose serafica: “La nonna faceva a lui quello che hai fatto a me. Poi l’hanno sostituita le figlie, cioè le mie zie, non vampire, quando è andata in menopausa”.

Angela sorrise, e disse: “Insomma, hai bisogno di una che ti fornisca sangue fresco una volta al mese”.

“Pagando si può avere anche quello”, rispose Bina, “Certo, se si ama chi te lo dà è molto meglio”.

Angela nascose il suo turbamento prendendo dalla borsa l’invito ufficiale al convegno e porgendolo a Bina.

Il convegno sviscerò esegeticamente le Nozze di Cana, partendo dall’osservazione che i Vangeli sinottici inseriscono l’Istituzione dell’Eucarestia nell’Ultima Cena, ma nel Vangelo secondo Giovanni sono quelle Nozze a sostituirla; durante la pausa Angela disse a Bina: “Devo darti un’altra dose di quello che ti ha salvato la vita”, e la portò nel bagno disabili – l’unico abbastanza grande per due persone.

Bina non era però astenica: dopo che Angela le ebbe servito la coppetta, Bina sollevò la lunga tonaca di Angela fino alle anche (facendola ridere per l’eccitazione), la mise a sedere sul lavabo e cominciò a leccare scrupolosamente anche le gocce del suo sangue.

Angela trattenne a fatica i gemiti, ed al termine Bina chiese: “Quanto sangue mi serve ancora?”

“Il troppo qui non stroppia”, rispose Angela, “Puoi berne quanto ne vuoi fino alla fine del ciclo. Ma ora torniamo al convegno”.

In quel momento aveva cominciato a parlare un relatore che fece notare che il Talmud [bBerakhot 40a] candidava ad Alberi della Conoscenza del Bene e del Male tre piante: il fico, il grano e la vite (dagli ultimi due si ricavano il pane ed il vino) – il che gli permise di ricollegare le Nozze di Cana al secondo racconto della Creazione [Genesi 2-3], attraverso una tradizione cabalistica per cui Noè avrebbe dovuto rimediare al peccato di Adamo celebrando il Qiddush sul vino la vigilia del Sabato – purtroppo Noè invece, dopo aver fatto il vino si ubriacò, e secondo il relatore, Gesù alle Nozze di Cana volle rimediare all’errore che prima fu di Adamo (mangiare l’uva anziché bere il vino) e poi di Noè (ubriacarsi anziché benedire), facendo celebrare dal maestro di tavola un Qiddush prima che gli ospiti tracannassero il vino.

Gli altri relatori del convegno non sembravano convinti di questa proposta esegetica, che invece Bina trovò interessante, e sussurrò all’orecchio di Angela una sua personale osservazione.

Angela disse: “Prendi il microfono e parlane al convegno”.

Bina rispose: “Sono timida”.

“Ti do tutto il sangue che vuoi fino alla menopausa, se parli”, rispose Angela, “E te lo faccio bere senza coppetta!”

La proposta era irresistibile e, preso il microfono, Bina disse:

“Vorrei aggiungere un’osservazione. Vi è mai capitato un matrimonio in cui, come dice il maestro di tavola delle Nozze di Cana, prima si è servito il vino buono e poi quello meno buono? No, e nemmeno a me che sono ebrea. Ma c’è un’altra situazione ebraica in cui si fa qualcosa di simile: a Pasqua con il pane azzimo.

Infatti, durante il Seder Pesach, il pasto rituale di Pasqua, è obbligatorio mangiare la Matzah Shemurah, che viene fatta con grano sorvegliato dal momento del raccolto, ed i più rigorosi vogliono che sia fatta a mano. Se cercate di ordinarla online, scoprite che non vi costa meno di 50 Euro al chilo! Pasqua dura 7/8 giorni, ed una famiglia ebraica media non può mangiare questo tipo di pane azzimo per tutti quei giorni senza ridursi in miseria.

Si usa allora, dopo il Seder che inaugura la Pasqua, il pane azzimo comune, fatto a macchina, ed il cui grano viene sorvegliato solo a partire dalla macinazione – online lo potete ordinare a meno di 6 Euro al chilo.

Secondo me, il maestro di tavola parlava di vino, ma alludeva al pane azzimo, perché è l’unica cosa che fa comportare gli ebrei in questo modo. Se nelle Nozze di Cana è presente l’Eucarestia sotto la specie del vino, anche la specie del pane è presente, pur mimetizzata”.

I relatori furono più impressionati dall’osservazione di Bina, che sembrava voler restituire il microfono, ma Angela la fermò, glielo prese e le chiese: “E qual era allora il vino buono tenuto in serbo fino all’ultimo, creato da Gesù e di cui parla l’ignaro maestro di tavola? Che tipo di pane rappresenta?”

Bina rispose: “Rileggetevi Esodo 16: dopo che gli Israeliti ebbero terminato le azzime che avevano cotto in Egitto, Dio diede loro la manna, il pane del cielo, di qualità eccelsa. Gesù chiude l’era delle azzime (opera dell’uomo) ed inizia quella della manna (concessa per grazia di Dio)”.

I relatori ringraziarono Bina, ed Angela disse: “Brava. Ceniamo insieme stasera?”

“Sì”, rispose Bina, “Ma parti davvero domani?”

“E se tu venissi con me?”, chiese Angela.

“Non ho un lavoro, ma una pensione (essere vampiri procura multiple invalidità); siamo ora in bassa stagione, e nel mio B&B non ho ospiti per quattro mesi. Potrei accettare”.

Cena e dopocena furono magnifici, ed Angela scoprì quella sera che anche le vampire hanno un mestruo – molto leggero, non doloroso, di sapor dolce; purtroppo il sangue di vampira non può salvare un’altra vampira: ci vuol proprio quello umano!

La chiesa vetero-cattolica di Angela era una parrocchia del Nord Italia creata per speciale concessione dell’Unione di Utrecht, che si era ritirata dall’Italia nel 2011, lasciando aderire le parrocchie che aveva creato alla Comunione Anglicana; Angela ci voleva riprovare e sperava di riunire le altre chiese che si erano separate.

Bina fu bene accolta dai parrocchiani, ed Angela le affidò il compito di pulire la chiesa (prima delle pulizie Angela rimuoveva il Santissimo Sacramento per riportalo nel ciborio alla fine) e di aiutarla nello studio biblico – Bina dimostrava talento sia nel chiarire i passi dell’AT che nell’individuare riferimenti ebraici nell’NT, rendendosi così molto utile.

Un pomeriggio Angela dovette dire a Bina: “La mamma di questo bambino, che si chiama Giovanni, mi ha telefonato che non può riportarlo a casa dal catechismo perché le si è guastata la macchina. Puoi accompagnarlo tu?”

“Volentieri”, rispose Bina, “Ma non ho la patente”.

“La casa non è così lontana – ti mando l’indirizzo via WhatsApp”, ribatté Angela, “Puoi accompagnarlo a piedi”.

Bina e Giovanni passarono davanti ad una bella chiesa cattolica romana, ed il bambino, che amava le opere d’arte, si staccò dalla mano di Bina mentre lei leggeva un manifesto politico su un muro vicino, ed entrò nella chiesa.

Bina pensò: “Non posso lasciarlo solo”, inviò la sua posizione ad Angela via WhatsApp ed aggiunse: “Giovanni è dentro la chiesa. Io vado a tirarlo fuori, tu vieni a salvarmi!”

Contrariamente ai suoi timori, Bina non provò alcun malessere dentro la chiesa, raggiunse Giovanni, lo prese per mano e gli disse: “Non devi staccarti dal tuo adulto quando vai a passeggio con lui! Non sai quello che ti può capitare!”

Il bimbo rispose: “Questa è una bella chiesa, vero?” proprio mentre Angela stava entrando; ella vide che Giovanni stava bene, e pure Bina, salvo un gonfiore al pollice ed all’indice sinistro.

“Che ti è successo?”, chiese Angela, e Giovanni rispose: “Le dita si sono gonfiate quando Bina ha usato il selfie stick per fotografare l’interno di una chiesa qui vicino …”

Bina precisò: “Quella ortodossa”, ed il bimbo continuò: “… infilandolo in uno spiraglio della porta”.

“Hmm …”, disse Angela, “Sembra un’ustione da radiazioni. Ho qui la medicina per te”, e le porse una bottiglia da Gingerino con dentro del sangue trattato con un anticoagulante [Giovanni non sapeva cos’era], sangue che Bina ingerì guarendo immediatamente.

Le due donne ripresero la passeggiata per consegnare Giovanni alla mamma, ed a cena, quando furono sole, Angela chiese a Bina: “Quanto ne sai di teologia eucaristica?”

“Quasi niente. Ho imparato a mie spese che le specie eucaristiche che mi fanno male sono quelle consacrate da chiese che credono nella presenza reale di Gesù in esse. Ad una Santa Cena valdese ho potuto partecipare, da una luterana me ne sono dovuta andare”.

“Hmm … forse ti stai esprimendo male”, osservò Angela, “La principale differenza tra luterani e valdesi a proposito dell’eucarestia è che i luterani ritengono anche sostanziale la presenza di Gesù nelle specie eucaristiche – nella loro dottrina, la consacrazione crea un’‘unione sacramentale’, per cui nel pane c’è anche la sostanza del corpo di Cristo, nel vino anche la sostanza del sangue di Cristo; per i valdesi, ed i calvinisti in genere, la presenza di Gesù è reale, ma non sostanziale: il pane ed il vino sono i simboli che fanno ricevere al fedele in modo spirituale il corpo ed il sangue di Cristo, ma non mutano la loro sostanza”.

“Dici dunque che il busillis è la presenza sostanziale, più che reale?”, chiese Bina, ed Angela rispose: “Ad interpretare le tue parole e la tua esperienza, sì. Strano però che specie eucaristiche ortodosse ti facciano male e specie cattoliche no”.

Bina ribatté: “Non è che c’è una sottile differenza tra la teologia eucaristica ortodossa e quella cattolico-romana?”

Angela rispose: “L’unica cosa che mi viene in mente è che sia i cattolici romani che gli ortodossi dicono che al momento della consacrazione il pane ed il vino diventano in modo vero, reale e sostanziale corpo e sangue di Cristo; però, mentre gli ortodossi dicono che il modo in cui accade è misterioso, i cattolici romani hanno dato una spiegazione metafisica di come ciò avvenga …”

“… E l’aver sostituito il mistero con questo arzigogolo ha reso inefficaci in me le ostie cattoliche romane”, concluse Bina, ed Angela annuì concludendo: “Noi vetero-cattolici crediamo nella presenza reale, ma abbiamo rigettato la transustanziazione. Per questo le mie specie eucaristiche ti fanno male”.

“Però tu mi fai molto bene”, disse Bina baciando Angela, e dopo un po’ di baci e carezze, le due donne andarono a letto lasciando i piatti sul tavolo.

Il mattino dopo le due donne si accinsero a lavare i piatti, ed Angela chiese a Bina: “Vuoi stare ancora con me?”

Bina rispose: “Con te mi trovo benissimo. L’unica cosa che mi tieni nascosta sono le specie eucaristiche”.

Angela rise e disse: “La mia chiesa non è LGBT+Friendly come altre – non condanniamo le unioni tra persone dello stesso sesso, ma non abbiamo ancora deciso se farne un matrimonio sacramentale oppure benedirle soltanto. Io ho proposto di introdurre il rito dell’adelphopoiesis …”

“Quello di cui parlava John Boswell a proposito dei santi Sergio e Bacco?”, chiese Bina, ed Angela aggiunse: “Nonché Pavel Florenskij a proposito di sé stesso e del suo caro amico Sergej Troickij. Sì, proprio quello – celebra un’amicizia intima tra due persone trasformandole in fratelli o sorelle”.

Le due donne tacquero per un attimo, ed infine Angela chiese: “Vuoi che siamo noi due le prime persone della mia chiesa unite da questo rito? E dopo quello contraiamo un’unione civile?”

Bina accettò con un bacio, e si preparò a traslocare in casa di Angela.

Ella contattò il suo vescovo, che però rispose che la proposta dell’adelphopoiesis era da considerarsi superata, perché una consultazione informale tra i vescovi dell’Unione di Utrecht, i cui risultati sarebbero stati ufficializzati nel prossimo sinodo, aveva deciso che in questi casi si celebrasse un matrimonio vero e proprio, sacramentale.

Qualche giorno dopo la risposta, Angela Eletta portò un biglietto a Bina Carbonia e le chiese: “Perché vuoi che al nostro pranzo nuziale sia servito solo vino bianco e lo hai scritto qui?”

Bina si schiarì la gola e disse: “Al matrimonio devo invitare parenti vampiri di cui non mi fido molto. Non vorrei che versassero qualche goccia del proprio sangue nel vino di un non vampiro, facendone un vampiro. Se il vino è bianco, il viraggio in rosé si vede subito e l’inganno non riesce”.

Angela impallidì per la sorpresa e disse a Bina: “Ma … il tuo sangue me lo hai fatto bere … e non mi sento una vampira!”

“Tesoro”, rispose Bina, “Per diventare vampiri è necessaria anche una predisposizione genetica. Io ce l’ho così forte che sono nata vampira, prima di bere alcunché; io avevo già verificato che non ne hai alcuna prima di darti il mio mestruo da bere, quindi possiamo stare tranquille entrambe. Altre persone sono in una situazione intermedia, e per loro bere sangue di vampiro sarebbe fatale”.

“Come facevi a sapere che non sono predisposta?”, chiese Angela, e Bina rispose: “Guarda il pendente che ti ho regalato, quello uguale al mio”.

“Ho capito!”, rispose Angela, “Se il colore è bianco vuol dire che chi lo porta non ha predisposizione; se il colore è rosso come quello del tuo vuol dire che è un vampiro …”

“… E se è giallo, vuol dire che può diventarlo”, concluse Bina, aggiungendo: “Questi pendenti sono fatti di una speciale lega d’oro che cambia colore a seconda dello ‘status vampirico’ di chi li porta. Vorrei regalarli agli invitati al posto delle bomboniere. Pensavo di farli di vermeil [argento 925/1000 placcato con uno strato di lega d’oro spesso almeno 2,5 micron] anziché di sola lega d’oro per risparmiare un po’”.

“È una buona idea rivelare lo status vampirico di una persona?”, chiese Angela, e Bina rispose: “Tutti i miei parenti lo vorrebbero conoscere, ma l’alternativa alla mia lega d’oro sono dei complessi e costosi esami genetici. Certo, chi è già vampiro lo sa per forza, ma gli altri non sanno se sono immuni o potenziali vampiri”.

“Allora fai pure”, disse Angela, e Bina rispose: “Sapevo che avresti capito. Ah, visto che noi vampiri siamo eterogami obbligati …”

“Cioè?”, chiese Angela e Bina rispose: “… ovvero, un vampiro deve sposare una non vampira, meglio ancora se immune, per avere la sua fonte di sangue, è probabile che l’incontro tra vampiri e non vampiri al nostro matrimonio si evolva in una serie di fidanzamenti e matrimoni”.

“Capito”, disse Angela, “Mi vuoi far lavorare. Ma come hai imparato l’oreficeria?”

“Ho fatto l’apprendista orafa. Purtroppo il mio datore di lavoro era un porco. Non ti dico come mi sono vendicata di lui”, rispose Bina.

“Dimmelo”, disse Angela.

“Fervente greco-ortodosso, con predisposizione vampirica, abitualmente riceveva la comunione per intinzione [ovvero, intingendo l’ostia nel vino], ma una domenica al vino aggiunsi alcune gocce del mio sangue”, rispose Bina.

“Perciò … è diventato vampiro prima di digerire l’ostia consacrata? E che gli è successo poi?”, chiese Angela, e Bina rispose: “Morì in peccato mortale”.

Angela chiese: “Lo faresti ancora?”, e Bina rispose, mostrando le unghie lunghe e forti: “Secondo te, perché il mio piatto preferito è il pollo disossato?”

Angela rise e commentò: “Se disossi chi ti sta aggredendo, può anche essere legittima difesa. Però quello che hai fatto a quell’uomo è stato premeditato, e dovresti parlarne nella tua confessione generale”.

“Confessione generale?!?” chiese stupita Bina, ed Angela rispose: “Sei ebrea per scelta, quindi alla nascita i tuoi genitori ti hanno battezzata – ed ho rinvenuto l’atto di battesimo, nonché quello di cresima”.

“Mi sono sbattezzata!”, protestò Bina, ed Angela spiegò: “Certo, però alcune conseguenze del battesimo sono rimaste. Tra esse il fatto che prima del matrimonio devi sottoporti alla confessione generale [cioè anche dei peccati da cui sei stata già assolta], e che il rituale prevede per forza l’eucarestia”.

“Ti amo, ma non voglio morire sposandoti!”, disse Bina, ed Angela, dopo averla baciata, spiegò: “Credo di aver trovato la soluzione”.

“Spiegami”, disse Bina, ed Angela l’accontentò: “Si fa un matrimonio per procura. In questo modo tu non entri in chiesa, e l’eucarestia la assume solo colui o colei che hai designato. Chi vuoi designare?”

“Va bene Fiorenza?”, chiese Bina, ed Angela annuì.

“Resta il problema dei miei parenti vampiri. Come fanno ad assistere alla cerimonia?”, chiese Bina, ed Angela spiegò: “Avrai notato che la mia chiesa ha un’aula grande per le messe festive ed una piccola per quelle feriali. Se gli invitati vampiri non sono troppi, posso togliere il Santissimo dall’aula piccola, noleggiare un grande schermo per permettere a codesti invitati (ed a te) di assistere alla cerimonia nell’aula grande in diretta TV – e tu fai loro compagnia. Dopo la messa, si esce dalle due aule e ci si ritrova nel sagrato”.

“Ottima idea”, disse Bina, “E se non ti disturba porto Elena nell’aula piccola e fingo che tu l’abbia designata con una procura a sposarmi. Così abbiamo un secondo rito che rispecchia il primo, anche se solo con valore scenico”.

“Bellissimo!”, acconsentì Angela – e le due donne si divisero i compiti: mentre Angela redigeva la procura da firmare e scriveva una relazione per il suo vescovo (prima gli aveva spiegato solo che voleva sposare una donna - non che era una vampira e perché si doveva sposare per procura), Bina inviava uno speciale invito ad Elena e Fiorenza sulla chat comune di WhatsApp.

Angela e Bina non erano solo innamorate, ma anche poliamorose, e quando le specializzande in medicina Elena e Fiorenza, sorelle gemelle monozigoti, vennero da loro per indagare sulla fisiologia dei vampiri e sulla loro vita di coppia, scoppiò una scintilla che unì sessualmente e sentimentalmente le quattro donne.

Però Elena e Fiorenza, essendo sorelle, non avevano rapporti tra loro, pur non avendo remore ad amare le loro donne nella medesima stanza e nel medesimo istante; ed in poco tempo si stabilì una preferenza erotica per cui Elena preferiva Angela e Fiorenza Bina.

Quest’ultima si preoccupava alquanto: e se Fiorenza avesse avuto la predisposizione vampirica? Sarebbe bastato un bacio di lei mentre Bina aveva le gengive sanguinanti per rovinarla. Per questo Bina si era data da fare per sviluppare la lega d’oro capace di rivelare lo status vampirico di una persona.

Perciò Elena e Fiorenza furono invitate non solo alla firma delle procure (quella seria per Fiorenza e quella teatrale per Elena), ma anche a ricevere i pendenti in lega d’oro (per loro a 18 carati, non in vermeil) per verificare il loro status vampirico – per fortuna, se Elena, la partner di Angela, aveva una predisposizione vampirica (il pendente diventava giallo al contatto con la sua pelle), Fiorenza non ce l’aveva (il pendente rimaneva bianco), e perciò poteva fare ogni cosa con Bina senza pericolo.

Il vescovo diede il suo placet alle proposte di Angela, e si offrì pure di ascoltare la confessione generale delle due spose e celebrare il loro matrimonio; quando seppe dei rapporti tra Angela, Bina, Elena e Fiorenza fu tentato di mandare tutto a monte, ma pensò che forse il matrimonio avrebbe donato alle due spose il dono del discernimento, e riportato Elena e Fiorenza allo status di amiche.

Il giorno del matrimonio erano giunti tutti gli invitati, ed un sacrista fu piazzato sul sagrato ed incaricato di inviare chi aveva al collo il pendaglio rosso all’aula piccola, e chi l’aveva bianco o giallo a quella grande della chiesa; poi giunsero le due spose, accompagnate ognuna dalla procuratrice dall’altra.

Il sacrista disse a Bina ed alla sua accompagnatrice di entrare nell’aula piccola, e ad Angela ed alla sua donna di entrare in quella grande – notando però fra sé: “Strano: tutti gli uomini avevano il pendaglio al polso, e tutte le donne una vertiginosa scollatura perché potessi vedere il pendaglio appeso al collo; però le signorine Elena e Fiorenza non erano scollate ed il pendaglio non si vedeva”.

Un’altra stranezza fu che nell’aula piccola c’erano degli altoparlanti, ma l’accompagnatrice di Bina non sentiva nulla, e Bina le spiegò: “Non ti ricordi che noi vampiri siamo capaci di emettere ed udire frequenze audio fino a 250 kHz, più alte di quelle dei pipistrelli?”

“Giusto, è vero”, rispose l’accompagnatrice, e Bina proseguì: “Quando siamo soli preferiamo conversare a frequenze tra i 40 ed i 60 kHz, inaudibili dagli umani, e perciò ho inserito un traspositore nell’impianto di amplificazione per portare le voci umane ad altezze vampiriche. Non ti preoccupare, ora ti do un auricolare senza fili con cui ascolti l’audio originale, e così segui la cerimonia”.

Il rito si svolse come da copione: introito, memoria del battesimo, liturgia della parola, raccolta del consenso, benedizioni nuziali seguite dal bacio – ed allora sia Angela che Bina si resero conto di aver baciato la loro partner secondaria [Elena per Angela, Fiorenza per Bina] e non il loro metamore!

Le due nubende sfilarono da sotto i vestiti delle loro partner i pendagli, ed ebbero la conferma dello scambio! Le due donne si erano messe d’accordo per scambiarsi i ruoli nella cerimonia nuziale, come avevano fatto Lia e Rachele al momento di sposare Giacobbe! [La Bibbia – Genesi 29:23-25 - dice solo che lo scambio fu opera del loro padre Labano; il Midrash aggiunge che Rachele e Lia acconsentirono e cooperarono nell’ingannare Giacobbe per evitare che Rachele umiliasse Lia sposandosi prima di lei].

Dopo l’eucarestia, al momento di firmare l’atto di matrimonio, Angela spiegò la situazione al vescovo, che disse: “La procura era a favore di Fiorenza, ma è stata Elena a pronunciare il consenso. Esso non è valido – il matrimonio non è stato celebrato. Ma la procura è tuttora valida, non ha scadenza bensì solo revoca od invalidazione [cfr. Canone 1105 Codice di Diritto Canonico], e quando vi deciderete a fare le cose per bene sarò pronto a sposarvi davvero!”

Angela e Bina decisero di non dire nulla agli invitati, e lasciar loro credere che tutto fosse andato come previsto – ma quando gli invitati furono partiti, dovettero confrontarsi con Elena e Fiorenza.

Il viaggio di nozze in Israele era previsto per il giovedì successivo alle nozze – per congedare gli ospiti, sistemare casa e chiesa, e riposarsi un attimo prima di partire; ma il mercoledì pomeriggio suonarono a casa di Angela e Bina Elena e Fiorenza, la prima con dei cioccolatini, la seconda con delle rose in mano.

Quando aprirono loro, Bina disse: “Se foste venute lunedì mattina, ci sareste state di grande aiuto a riordinare”, mentre Angela osservò: “Forse avreste potuto anche chiarire il perché lo avete fatto”.

Fiorenza disse: “Mettiamo le rose in un vaso, e poi ci spieghiamo”; furono anche messi i cioccolatini in frigo, e tutte e quattro le donne si sedettero sul sofà a quattro posti.

Cominciò a parlare Elena: “Lo abbiamo fatto perché volevamo cambiare il rapporto con voi”, e Fiorenza aggiunse: “E tra di noi”.

Bina chiese: “Perché ‘tra di voi’?”, ed Elena spiegò: “Siamo gemelle identiche, ed anche nella personalità ci somigliamo tanto che ci capiamo spesso senza parlare. Molte persone ci trattano come se fossimo una sola persona in due corpi …”

Fiorenza aggiunse: “Anche voi ci trattate come se fossimo un solo unicorno diviso in due corpi”.

Touché”, disse Bina, ed Angela osservò: “In questo modo insieme si gode di più”.

“Certo”, riprese Elena, “Ma sentiamo il bisogno di ‘individuarci’, di sentirci persone separate. Abbiamo fatto entrambe le medesime scuole fino alla laurea in medicina, poi abbiamo deciso io di fare ostetricia e ginecologia, lei psichiatria”.

“Potreste aprire uno studio di sessuologia insieme”, osservò Bina, e Fiorenza replicò: “Certo, ma noi vogliamo essere complementari, non identiche”.

Elena disse: “Il nostro progetto era sposare io Angela e Fiorenza Bina. Vi avremmo lasciate libere di frequentarvi e scoparvi a volontà, ovviamente”.

Angela e Bina si guardarono e dissero: “Non avrebbe funzionato. Il rapporto primario lo vogliamo tra noi due, anche se voi due siete importanti per noi”.

“Però il matrimonio avrebbe consacrato la nostra indipendenza reciproca, in quanto ognuna avrebbe avuto la sua distinta sposa”, osservò Fiorenza.

Bina disse: “Mi pare che vogliate commettere l’errore di molte persone che si sposano solo per affermare la propria maturità e rendersi indipendenti dalla famiglia d’origine. Ma un matrimonio che nasce così a lungo non dura. Non contraetelo”.

“Ed avreste fatto meglio a parlarcene prima di fare lo scambio di persone”, osservò Angela, “Mi avete messo in condizione di scrivere dozzine di sermoni sullo scherzo che in Genesi 29 Labano organizzò ai danni di Giacobbe …”

“… con la complicità attiva delle figlie Lia e Rachele, secondo il Midrash”, volle precisare Bina, ed Angela riprese: “Però non è bello che, per salvare le apparenze, mi abbiate costretto a mentire sul mio stato di vita. Vorrei mentire solo quando devo salvare degli schiavi dai loro padroni, o degli ebrei dai nazisti. Bisogna rimediare al più presto”.

Elena e Fiorenza mostrarono del rammarico, se non del vero e proprio rimorso, ed Angela e Bina provarono a stringere loro le mani; dalla stretta di mano si passò al bacio, alle carezze, allo spogliarello, al trasformare il sofà in un letto a quattro piazze, ed a farci l’amore.

All’ora di cena Fiorenza chiese: “Partite lo stesso per il viaggio di nozze?”

“Pensavamo di sì”, rispose Bina, “La penale per la disdetta è altissima, e quindi tanto valeva partire comunque”.

“Dove pernottate?”, chiese Elena, ed Angela rispose: “Faremo un pellegrinaggio in Terrasanta, nei luoghi santi ebraici e cristiani. La base sarà un appartamento a Gerusalemme …”

“… Con due camere da letto, una doppia ed una matrimoniale – non siamo riusciti a trovarne uno più piccolo”, chiosò Bina.

Gli occhi di Elena e Fiorenza si illuminarono, ed Angela e Bina si misero a ridere; Angela disse: “Dopo il guaio che ci hanno combinato vogliono venire in viaggio di nozze con noi!”

Bina disse: “Senti, io incoraggio chiunque a visitare Israele. Non vede solo cose belle (i palestinesi sono oppressi in modo orribile), ma si fa un’idea più precisa di com’è fatto il paese. Io direi di portarcele con noi – anche per provare la convivenza con noi, e per capire qual è la soluzione migliore per tutte e quattro”.

“Pagano il loro biglietto? Dividono a metà l’affitto dell’appartamento?”, chiese Angela, ed Elena e Fiorenza acconsentirono.

Il giorno dopo tutte e quattro partirono per Tel Aviv, ed una volta lì stupirono la doganiera dichiarando che erano una “polecola” integralmente femminile che festeggiava il viaggio di nozze di due di loro. La doganiera fece più domande del solito (il copricapo lasciava indovinare che era molto religiosa), ma le fece passare, e le quattro donne presero il treno per Gerusalemme, e poi si fecero portare in taxi al loro appartamento, sul lato sud di Via Gerico – sul lato nord c’è il Monte degli Ulivi, che non ha solo diverse chiese che ricordano i vari momenti dell’agonia di Gesù, ma è anche il più grande cimitero ebraico del mondo - poiché una leggenda ebraica dice che da lì inizierà la resurrezione dei morti [le persone sepolte altrove dovranno scavare da sole un tunnel che le porti fin laggiù, e solo allora risusciteranno], chi se lo può permettere si fa seppellire lì.

Arrivate all’appartamento, le donne si fecero la doccia e vinsero la stanchezza per abbandonarsi ad un’orgia che segnò la riconciliazione e la promessa che, una volta tornate in Italia, il matrimonio si sarebbe svolto senza intoppi.

Purtroppo, al momento di farsi la seconda doccia prima di cenare, il potente asciugacapelli di Fiorenza, acceso insieme con la lavatrice ed il forno a microonde, fuse i fusibili dell’interruttore generale.

Bina chiamò l’affittacamere, che rispose che si scusava dell’inconveniente, ma che avrebbe avuto bisogno di un’ora per procurarsi i fusibili e sostituirli – il giorno dopo avrebbe mandato un elettricista a sostituire l’interruttore generale con uno magnetotermico [senza fusibili].

In quell’ora le ragazze si rivestirono e guardarono fuori dalla finestra in direzione del Monte degli Ulivi – e videro degli strani bagliori blu-verdastri tra le tombe.

Elena osservò: “Ho letto che l’uso ebraico prevede che i corpi siano sepolti non dentro una bara, ma in un sudario – perciò i gas di putrefazione possono giungere in superficie e brillare per un fenomeno di chemioluminescenza, comunemente detto ‘fuoco fatuo’”.

La spiegazione tranquillizzò Angela e Fiorenza, ma non Bina, che osservò: “In quella parte del cimitero le sepolture risalgono a non oltre l’anno ebraico 5400, ovvero 1640 dell’era volgare. In quasi 400 anni i gas di putrefazione dovrebbero essersi esauriti, giusto?”

“Che cosa pensi?”, chiese Angela, e Bina disse: “Temo che stia avvenendo qualcosa di satanico sotto la superficie. Domani proviamo a dare un’occhiata – alla luce del sole rischiamo meno”.

Il mattino dopo le donne visitarono sia i monumenti ebraici che le chiese del Monte degli Ulivi (con la parziale eccezione di Bina, che non poteva entrare in una chiesa ortodossa senza che l’eucarestia ivi conservata le nuocesse), e passeggiarono anche tra le tombe del cimitero.

Bina teneva in mano un tablet con un’applicazione che simulava una tavola Ouija per comunicare con gli spiriti – e ad un certo punto lesse sulla tavola: “Sono un vampiro sepolto qui sotto. Puoi parlarmi con gli ultrasuoni”.

Bina spense il tablet, si sedette laggiù insieme con Angela, Elena e Fiorenza, e cominciò a parlare al vampiro: “Chi sei?”

Questi rispose: “Tuo cugino Rodolfo”.

Bina: “Ma … come mai sei qui? Sei stato sepolto in Sardegna dopo essere stato travolto dal tuo trattore”.

Rodolfo: “Ucciso, vorrai dire. Un rivale in amore mi tirò una sassata mentre guidavo il trattore, caddi a terra, l’acceleratore a mano era inserito, le ruote posteriori mi schiacciarono, e l’aratro multivomere mi fece letteralmente a fette”.

Bina: “Chi è stato?”

Rodolfo: “Sono già stato vendicato, non serve che te lo dica. Sono qui perché ai vampiri uccisi è stato concesso di recarsi qui non appena sepolti scavando un tunnel sotterraneo (il mio corpo si è ricomposto per questo) in modo da essere tra i primi a risorgere”.

“Quindi … tutti i vampiri morti ora sono qui”, osservò Bina, e Rodolfo annuì.

“Perché state creando dei fenomeni di chemioluminescenza?”, chiese Bina, “Non state semplicemente aspettando la fine del mondo – questi significano che voi state tramando qualcosa”.

“I fuochi fatui, cioè i fenomeni di chemioluminescenza che tu e le tue amiche avete notato, sono semplicemente il prodotto della putrefazione dei nostri corpi vampirici, che comincia con il nostro arrivo qui”, rispose Rodolfo, “Però stiamo davvero mettendoci d’accordo con Satana per risorgere anticipatamente. Ci vuoi aiutare?”

“Assolutamente no”, rispose Bina, “Come dicono in Ucraina, il formaggio gratis si trova solo nella trappola per topi, e Satana non aiuta nessuno a fare qualcosa di buono. Quindi state certamente facendo una cosa malvagia che è mio dovere impedire”.

Improvvisamente Bina sentì che le stavano torcendo il collo, ma prima di svenire sentì Angela gridare: “Allontana, Signore, con il Soffio della tua bocca, gli spiriti maligni: comanda loro di andarsene, perché il tuo regno è in mezzo a noi!”, e sentì immediato sollievo; chiese ad Angela se aveva del sangue in bottiglia, e dopo averlo bevuto disse: “Mio cugino Rodolfo, che è un vampiro sepolto qui sotto, ha cercato di farmi torcere il collo e decapitare perché non volevo acconsentire ai suoi diabolici disegni”.

“Meglio uscire di qui”, osservò Angela, ed una volta fuori dal cimitero, Bina riferì quello che lei e Rodolfo si erano detti. Fiorenza chiese: “Ma che se ne fa Satana di un gruppo di vampiri risorti?”

“Non è un semplice gruppo”, rispose Bina, “Se si stima che nel Monte degli Ulivi siano sepolte circa 70 mila salme umane, ho sentito accanto a Rodolfo milioni di vampiri che aspettano il momento giusto per risorgere”.

“E che succederà dopo la risurrezione?”, chiese Elena, e fu Angela a rispondere: “Un bel genocidio. Satana ha in odio la religione cristiana, ma la radice del cristianesimo è ebraica, ed è più facile sterminare 15 milioni di ebrei di 2 miliardi e 270 milioni di cristiani”.

“Hitler non odiava solo gli ebrei come razza”, osservò Bina, “ma anche il cristianesimo come sistema di valori”.

“E siamo in grado di impedire questo abominio?”, chiese Fiorenza, ed Angela rispose: “Satana ha scelto molto bene il suo campo di battaglia: non ci permetteranno mai di organizzare una processione di sacerdoti esorcisti, con sacramentali cristiani, in questo cimitero ebraico - e se spargessimo dall’aria sulla superficie del cimitero briciole di ostia o gocce di vino consacrato sarebbe anche peggio; e di tutte le formule di esorcismo che conosco, ho dovuto usare per salvare Bina quella che non aveva bisogno della croce o dell’acqua benedetta, perché altrimenti avrei nuociuto anche a lei. Non so se basterà per sconfiggere tutti i vampiri in procinto di risorgere”.

In quel momento i minareti delle moschee intorno al cimitero proclamarono l’adhan della salat az-zuhr [invitando i fedeli musulmani a recitare la preghiera del mezzogiorno], a volume abbastanza alto, e Fiorenza chiese: “Esiste una formula che, proclamata per molto tempo, può neutralizzare questi vampiri?”

Bina rispose: “I salmi possono andar bene. Si consigliano a scopo esorcistico i salmi 10, 20, 90, 91, e specialmente il 127 [numerazione ebraica]. Cosa vuoi fare?”

“Pensavo”, rispose Fiorenza, “di manomettere l’impianto di amplificazione di una delle moschee vicine per fargli recitare questi salmi”.

Angela disse: “Non appena ci scoprono ci arrestano, ed in ogni caso, non è bello entrare nella proprietà altrui, e danneggiare una moschea”.

“Se inseriamo il traspositore di Bina nell’impianto di amplificazione, i salmi verranno recitati a frequenza ultrasonica, li sentiranno solo i vampiri, e solo al momento di recitare l’adhan [la chiamata alla preghiera islamica], i responsabili della moschea si accorgeranno di quello che abbiamo fatto”, rispose Fiorenza, sbalordendo Elena, ed Angela, che ribatté: “Fare una bella cosa con mezzi disonesti la squalifica. Non possiamo fare come dici”.

Bina disse: “C’è il modo di fare onestamente come dice Fiorenza: noleggiamo un furgone dotato di altoparlanti, e giriamo intorno al Monte degli Ulivi come Giosuè intorno alle mura di Gerico [Giosuè 6], proclamando quei salmi per il tempo necessario! Se solo i vampiri possono udire quei salmi, non c’è bisogno di permesso – bisogna solo sperare che la polizia non si insospettisca a vedere il furgone continuare a girare intorno al Monte degli Ulivi”.

L’idea fu approvata, e si decise di ripetere quello che fece Giosuè intorno a Gerico: fu noleggiato un minibus, che fu equipaggiato con sette trombe esponenziali, tarate per dare il meglio di sé nella gamma tra i 40 ed i 60 kHz, e vi salirono 10 cantori ebrei riformati perché recitassero quei salmi nel testo masoretico.

Il giro del Monte degli Ulivi iniziò domenica, e fino a venerdì si fece un giro solo ogni giorno, dopo il quale la luce dei fuochi fatui si intensificava tanto da sembrare un’aurora boreale; ma sia Angela che Bina erano d’accordo che questo era un segno di debolezza, e non di forza – voleva dire che tutti i corpi vampirici si stavano consumando perché i vampiri stavano vieppiù disperando della risurrezione anticipata promessa loro.

Sabato bisognava fare sette giri intorno al Monte degli Ulivi, e la polizia fermò il minibus all’inizio del secondo – purtroppo l’autista si era dimenticato la patente a casa, e fu portato al comando insieme con il minibus. Bina non sapeva che fare, ma Angela telefonò ad un monastero di monache greco-ortodosse, che vennero al comando di polizia, smontarono le trombe e l’impianto di amplificazione, li installarono sul loro minibus, e si misero a fare il giro del Monte degli Ulivi recitando i salmi secondo il testo della Settanta.

La polizia di Gerusalemme quel giorno era particolarmente “indiavolata”, ed all’inizio del terzo giro le monache dovettero dare il cambio ad un gruppo di francescani che recitarono i salmi secondo il testo della Vulgata Pio-Clementina; al quarto giro toccò alle monache carmelitane scalze, che usarono la versione Neo-Volgata; al quinto giro toccò ad un gruppo di luterani in pellegrinaggio che recitarono i salmi secondo la versione di Lutero, ed al sesto a dei cristiani riformati che decisero di recitare i salmi nella traduzione tedesca di Martin Buber e Franz Rosenzweig.

Al settimo giro toccò a delle cantore ebree riformate che alle trombe aggiunsero le bandiere arcobaleno, si armarono della Biblia Hebraica Stuttgardensia, e recitarono i salmi prescritti, nonché alcune preghiere aggiuntive come “Adon ‘Olam = Signore del Mondo”, “Yigdal = Sia magnificato”, “Avinu Malkeinu = Nostro Padre, Nostro Re”, “Ana Be-Koach = Deh, con forza”, nonché il “Qaddish = Sia santificato” per lodare Dio.

Si sentì una breve scossa di terremoto, e si vide un bagliore bluastro sopra il Monte degli Ulivi – ma non ci furono né vittime né danni, solo un po’ di spavento, ed Angela, Bina, Elena e Fiorenza ritennero la loro missione compiuta.

Si concessero una settimana di vacanza in più in Israele, ed al ritorno chiamarono il vescovo vetero-cattolico per celebrare finalmente il matrimonio tra Angela e Bina.

Il vescovo lo fece volentieri, ma si sentì anche in dovere di dire ad Angela che la loro chiesa era sì progressista, ma chiederle di tenere per parroco una donna impegnata in una “polecola” era troppo, e pertanto lei sarebbe stata sostituita.

Angela non si perse d’animo: era un medico, Elena e Fiorenza avevano ormai redatto le loro tesi e si sarebbero specializzate a breve, il B&B di Bina era in una grande casa a Roma che poteva ospitare sia l’abitazione di tutte e quattro, che gli studi medici di Angela, Elena e Fiorenza.

Bina si propose come segretaria e gestrice del sistema informativo degli studi medici associati, e tutte le donne prepararono il trasloco a Roma.

*** FINE ***

lunedì 2 dicembre 2019

Juno.00016.000 - Gatti - 000

[Inizio]

Dopo essersi ben stabilita ad Accra, ed essere diventata ricca insieme con Edna ed Ester grazie ai gioielli "Mami Wata Jewels", Elisabeth scrisse a Juno: "Non è che potete creare una placenta che funga anche da rene artificiale?"

Xiuhe e Yemoja risposero: "Le placente che produciamo nutrono attraverso l'ombelico ed estraggono dall'ombelico i prodotti di rifiuto. Chi le usa non ha bisogno di urinare. Ma i reni hanno anche altre funzioni, per cui la placenta non è ancora pronta. Chi ha bisogno di un rene artificiale?"

Elisabeth rispose: "Mia cugina Victoria. Potete mandarci un modello adatto a lei?"

"Potresti risolvere il problema", risposero Xiuhe e Yemoja, "Ospitandola in casa tua, che è una gigantesca placenta arborizzata che ha ricavato al suo interno abitazione e laboratorio. Lei lascia che la placenta si colleghi al suo ombelico, e così la depuri. Possiamo verificare a distanza le sue condizioni di salute, e personalizzare il trattamento".

"Ehm ... lei vorrebbe approfittare dell'occasione per venire in Italia", osservò Elisabeth; Juno, sempre morta di figa, disse: "Per me va bene", ma Rebecca osservò: "Ma sai quanto è complicato ottenere un visto per l'Italia per cure mediche?"

Le difficoltà furono superate, e Victoria, dopo aver trascorso alcune settimane in casa di Elisabeth in cui stabilizzò le sue condizioni e consentì a Xiuhe, Yemoja, e Sandra (nefrologa dell'Ospedale dell'Annunziata di Sassari) di valutare il suo stato di salute, venne a Bosa, dove fu accolta da una placenta arborizzata creata apposta per lei, anzi, due.

Yemoja spiegò: "A quanto ci è stato detto, ti piace viaggiare; perciò, oltre a quella classica che ti nutre, lava, collega ad Internet, eccetera, ma che non si può spostare da casa, abbiamo creato un modello che sta dentro un vaso di fiori, e che puoi portare in giro. Quando hai bisogno della dialisi, metti il vaso sotto il getto d'acqua di un rubinetto (ovviamente dentro un lavandino con lo scarico aperto), la placenta si collega al tuo ombelico, e funge da rene artificiale".

"Wow!", disse Victoria.

"Senz'acqua", precisò Xiuhe, "La placenta nel vaso dura una settimana. Visto che hai bisogno di dialisi tre volte la settimana, credo che non ti succederà mai di lasciarla a secco".

"Penso proprio di no", rispose Victoria.

Se Juno sperava di farsi Victoria, fu delusa - al contrario della cugina Elisabeth, era assai morigerata, e la nefropatia aveva ridotto ulteriormente la sua libido. Ma Juno ebbe la sua consolazione.

Aveva ripreso a frequentare la sua associazione Ebraismo Umanista Sardo, come semplice socio perché altre persone la mandavano avanti egregiamente, ed una sera entrò un vecchio signore con una strana richiesta:

"Vorreste pregare per la mia gatta?"

La rabbina Micol ne fu infastidita, Juno chiese: "Che ha la sua gatta?"

"Leucemia felina. Sono un povero pensionato, e le sue cure stanno diventando sempre più costose. Le ci vorrebbero delle trasfusioni di sangue, ma i gatti hanno i gruppi sanguigni come gli uomini, ed il suo gruppo è raro".

"La sua gatta è di gruppo B?", chiese Juno, ed il pensionato rispose: "Sì. Come lo ha capito? È una veterinaria?"

Micol rispose: "Lei è un'enciclopedia in fase di redazione. Nel raro caso che le chieda una cosa che non sa, dopo qualche giorno di studio le dà un'esauriente risposta".

"Ecco", disse Juno, "Io direi che è il caso di accontentare quest'uomo e la sua gatta. Mi dà il suo nome ed indirizzo, signor ...?"

"Gianuario. Abito qui a Bosa, e sono il gattaro ufficiale della città, visto che la mia colonia felina è stata riconosciuta dal Comune".

"Gli altri gatti sono stati testati per la leucemia e l'immunodeficienza feline?", chiese Juno, e Gianuario rispose: "Sì. Tutti esenti da immunodeficienza e vaccinati dalla leucemia. Ma alla mia sfortunata gatta sono affezionato".

"Possiamo recitare i Salmi stasera per la gatta di Gianuario?", chiese Juno a Micol, che rispose: "Si può fare. Lei, signor Gianuario, può portare la micia nella sala per il culto e pregare insieme con noi?"

"Sì, ma non pretenderete che io preghi in ebraico!"

Juno spiegò: "La tradizione ebraica dice che se si prega davanti ad un malato, lo si può fare in qualsiasi lingua; se il malato è assente, bisogna pregare per lui in ebraico. Per questo Micol le ha chiesto di portare la micia".

"Va bene, porto la micia".

La preghiera ebraica per un malato assente prevede un minimo di 18 Salmi (2, 6, 13, 22, 25, 30, 32, 38, 69, 88, 102, 103, 107, 116, 118, 142, 143, 130) in lingua ebraica, ma per un malato presente basta anche una preghiera spontanea recitata in una qualsiasi lingua - oppure una preghiera tradizionale detta "Misheberach = Colui che benedì".

Non è una novità per l'ebraismo americano pregare per un animale da compagnia, ma lo era per una piccola città sarda come Bosa, e molti non ebrei parteciparono ed augurarono buona salute alla micia - durante la cerimonia le fu cambiato il nome da Tina a CrisTina, in quanto la tradizione ebraica lo ritiene di buon auspicio per un malato. L'Angelo della Morte infatti, potrebbe essere confuso dal cambio di nome e non consegnare al malato il Decreto Nefasto.

Micol, superato l'iniziale fastidio specista, seppe pure improvvisare un sermone in cui preconizzava un futuro messianico in cui tutti gli animali, umani compresi, sarebbero diventati vegani come lo era secondo la Bibbia l'umanità prima del Diluvio, ed in cui l'umanità si sarebbe sentita unita con tutto il resto della creazione - non solo gli uomini non si sarebbero più sfruttati a vicenda, ma non avrebbero più sfruttato gli altri esseri. Si ispirò per questo un po' ad Isaia (capitolo 11), un po' ad Osea (capitolo 2), un altro po' all'afflato mistico di rav Avraham Yitzchak Ha-Kohen Kook (1864-1935).

Tra i partecipanti al culto c'erano anche Xiuhe, Yemoja, e la veterinaria Giulia, che aveva la micia (Cris)Tina in cura, e le tre donne discussero poi sulla possibilità di creare una placenta apposita per la micia, che contrastasse in modo efficace ed economico gli effetti devastanti della leucemia felina.

Durante il culto si erano raccolte delle offerte che permisero di far giungere il sangue felino di tipo B dall'estero per via aerea, e salvare per il momento la vita alla micia; tre giorni dopo fu regalata a Gianuario la placenta personalizzata per CrisTina, ed altri quattro giorni dopo fu piantata una placenta arborizzata per i gatti della colonia felina di Gianuario.

Le due placente funzionarono molto bene - quella collettiva era capace di filtrare i retrovirus come quelli dell'immunodeficienza e della leucemia feline, e pure di vaccinare i gatti che si servivano di lei.

"Ehm", chiese poi Giulia, "Non si può fare in modo che questa placenta possa rendere sterili i gatti che attingono a lei?"

"Dici?", chiese Juno, e Giulia insistè: "I gatti in città sono già troppi. Bisogna ridurre le nascite".

A malincuore, Xiuhe ed Yemoja acconsentirono, cosicché il numero dei felini randagi in città si stabilizzò - il numero giusto per combattere i topi e gli scarafaggi.

A Juno piacevano i gatti e spesso andava a visitare la colonia felina di Gianuario, ed a carezzare CrisTina - ma si rendeva conto che, malgrado l'aiuto della placenta, la micia deperiva sempre più.

Chiese allora a Xiuhe: "E se clonassimo CrisTina? Credo che la sua placenta possa raccogliere il materiale genetico, generarla nel proprio utero, e dare a Gianuario una nuova ragione di vita".

"Apri un vaso di Pandora", osservò Xiuhe, "Le nostre placente hanno permesso a persone intersessuali come Edna ed Ester di figliare, e perfino di rendere feconde le uonioni tra esseri umani biologici e robotici. Se cloniamo la micia, poco ci manca che diventi possibile che umani e felini possano figliare insieme, con l'aiuto delle nostre placente".

Alla conversazione assisteva Giovanna, la luogotenente dei carabinieri di Bosa, unita civilmente a Giaele, che fece questa domanda: "Queste placente possono trasformare un umano in felino e viceversa?"

Xiuhe ci pensò e disse: "Perché no? L'uomo entra nell'utero della placenta, e ne esce come gatto; quando il gatto vuole, rientra nell'utero e ne esce uomo".

"In quante ore?", chiese Juno, "Non è che il bruco diventi farfalla in pochi minuti".

"E non è solo questo il problema", fece notare Yemoja, "Un umano sano ha un corpo di 70 Kg ed un cervello di circa 1,45 Kg; un gatto sano pesa 3,3 Kg ed ha un cervello di 0,03 Kg. Nella trasformazione umano -> gatto, come smaltiamo l'eccesso di carne? E come immagazziniamo le informazioni del cervello umano in quello felino?"

"Hmm ...", rispose Juno, "La carne potrebbe essere conservata dentro la placenta per essere restituita al momento della ritrasformazione in umano; le informazioni ... si possono comprimere?"

Ad un'altra persona avrebbero riso in faccia, ma Xiuhe e Yemoja spiegarono a Juno che non c'era modo di "comprimere" gli "engrammi", cioè le informazioni memorizzate nel cervello. Dopo una breve discussione si giunse alla conclusione che, se si desiderava che il micio avesse prestazioni cognitive umane, l'unica cosa da fare era mantenere attivo il cervello umano dentro la placenta, anche se il resto del corpo umano poteva essere digerito ed immagazzinato come nutrienti grezzi, e tenere collegato il cervello umano a quello felino via rete a 5G perlomeno.

Giovanna disse: "Scusate, io non ho spiegato bene quello che volevo da voi, e voi avete risolto un problema diverso da quello che avevo in mente. Io pensavo a questo: un Airbus A380-800, il più grande aereo passeggeri in listino, può portare fino ad 853 passeggeri umani (se tutto l'aereo è allestito in classe economica). Moltiplichiamo 853 passeggeri per 120 Kg (comprendendo sedili e bagagli), otteniamo 102.360 Kg; quel peso equivale a 23.804 gatti da 4,3 Kg (comprendendo i trasportini) - con un aereo che potrebbe portare solo un battaglione di umani si può invece aviotrasportare una divisione di gatti".

"E paracadutarli, magari?", chiese Juno, mentre Xiuhe e Yemoja si guardavano con la faccia di Seneca mentre udiva le pazzie di Nerone, e Giovanna rispose: "Sarebbe un'ottima idea!"

Xiuhe provò a riprendere il controllo della discussione: "Giovanna, temo che i tuoi piani di guerra abbiano dei seri inconvenienti. Non ci sono armi che dei gatti possano azionare, ed immagino che pertanto tu voglia che i gatti paracadutisti, una volta toccato il suolo, riprendano la forma umana. Mi spiace per il poeta latino Ovidio, ma questo non è istantaneo, ed è possibile solo se i mici toccano una placenta arborizzata specifica. A questo punto, è molto più semplice piantare le placente, anche sotto forma di noci di cocco che devono germogliare, radicarsi, e svilupparsi, nella futura zona d'operazioni, e quando ce ne sarà bisogno partoriranno i soldati che servono. Ci vuol tempo, ma meno che a costruire una Linea Maginot".

"Giusto", ammise Giovanna, "Vuol dire che l'aereo disseminerà quelle noci di cocco non appena il governo e lo stato maggiore avranno chiare le aree in cui si potrebbe combattere".

Yemoja aggiunse: "Trasformare un corpo umano in uno felino e viceversa è enormemente dispendioso. Sarebbe molto più semplice avere una placenta che quando ospita il corpo umano lascia libero quello felino, e viceversa. Chi non vuole avere a che fare contemporaneamente con una donna ed una gatta, può usare una soluzione simile".

"Quanto ci vuole, in termini di tempo ed energia", chiese Juno, "Per far passare un vivente da una forma allotropica all'altra?"

"Cos'è una forma allotropica?", chiese Giovanna, e Xiuhe rispose: "Ci sono elementi i cui atomi, allo stato solido, possono disporsi nello spazio in modi diversi - l'esempio evidente lo dà il carbonio, che lo incontriamo sia come umile grafite che come prezioso diamante. Un altro esempio è dato dal ferro - il fenomeno viene sfruttato nella tempra. Tal fenomeno è detto 'allotropia', e le diverse configurazioni sono dette 'forme allotropiche'. Juno vuole che consideriamo i corpi umano e felino diverse 'forme allotropiche' del medesimo vivente. Trasformare però l'uno nell'altro non è per nulla semplice o rapido".

Qualche settimana dopo fu pubblicata questa strana notizia: i gatti che giungevano in Sardegna dovevano passare una quarantena di sei mesi!

Juno provò a chiedere alla veterinaria Gina se c'era un motivo medico per questo, ed ella rispose: "No. Non è stata scoperta nessuna nuova malattia dei gatti con un periodo d'incubazione di sei mesi".

Juno tornò a casa e chiese a Yemoja e Xiuhe: "Ne sapete qualcosa?"

"Perché mai tanto interesse?", chiesero loro, e Juno rispose: "Avete clonato CrisTina poco prima che morisse, e Gianuario è felice come una Pasqua della sua nuova-vecchia gatta. Ma ho visto venire nei laboratori della nostra azienda produttrice di placente persone che si rifiutavano di declinare le loro generalità, ma voi le facevate entrare lo stesso. Che sta succedendo?"

"Non possiamo dirtelo", risposero le due ginecologhe.

"Se io voglio all'azienda stacco la spina", ribatté Juno, "Ditemi in che cosa l'avete coinvolta".

"Diciamo che il piano di guerra di Giovanna è piaciuto tantissimo alle alte sfere", disse Yemoja, e Xiuhe aggiunse: "Un gatto allotropico può convertirsi in umano e viceversa se viene in contatto con una nostra placenta entro sei mesi dall'ultima trasformazione. Dopo 180 giorni non è più possibile ed uno si tiene la forma che ha".

La sbigottita Juno disse: "Vuoi dire che qualcuno teme che delle persone possano trasformarsi in gatti per venire da noi clandestinamente, e la quarantena serve a sventare il tentativo?"

"Esatto", rispose Yemoja, "Il divieto vale solo per la Sardegna, perché più facile da difendere", e Xiuhe aggiunse: "E perché tutte le placente arborizzate dell'Isola, che ora ricoprono tutta la superficie incolta, hanno questo potere. Quelle vendute fuori dalla Sardegna no".

"Avrei dovuto capire che c'entrava Salvini quando ha detto: 'Prima i mici italiani'", concluse Juno, che allarmata aggiunse: "C'è modo di distinguere i mici allotropici, che si ritrasformano in umani, da quelli normali?".

"Se non entrano in contatto con una placenta arborizzata, no", rispose Yemoja, e Xiuhe aggiunse: "Nemmeno con l'esame del DNA. Infatti i mici allotropici hanno un DNA felino. Soltanto una placenta arborizzata può ritrovare il DNA dell'umano corrispondente e rigenerarne il corpo".

"Tremendo!", disse Juno, "E se uno uccide un micio allotropico che accade?"

"La generazione del corpo umano corrispondente è inibita", rispose Yemoja, "Lo hanno preteso i funzionari del Ministero dell'Interno".

"Ma sarebbe tecnicamente possibile?", chiese Juno, e Xiuhe rispose: "Sì, ma l'abbiamo reso deliberatamente ed estremamente complicato".

"Mi chiedo che accadrebbe se una persona uccidesse un micio allotropico", disse Juno, "Sarebbe rea solo della morte del micio, od anche dell'umano corrispondente?"

"L'umano non morrebbe per questo", rispose Yemoja, "Sarebbe in grado di avere interazioni limitate attraverso la rete di placente arborizzate, ma impossibilitato (salvo complesse operazioni) a materializzarsi in un corpo umano".

"Sarebbe una situazione simile a quella di un sequestro di persona", osservò Juno, "Un grave reato comunque".

"Ci avevi insegnato", osservò Rebecca, "Che nel diritto penale l'analogia non può usarsi a danno dell'imputato, e questo per ora salva chi uccide un micio allotropico dall'accusa di sequestro di persona".

"Non solo per ora", ribattè Juno, "Se il micio allotropico è indistinguibile da uno normale, chi lo uccide può sempre dichiarare di essere caduto in errore - che si interpreta sempre in senso favorevole all'imputato".

Juno pensò un attimo e disse a Yemoja e Xiuhe: "Ehm ... potreste generarmi delle micine allotropiche?"

Rebecca si mise a ridere e disse: "Juno, non hai abbastanza fiche in casa? Quando lo trovi il tempo di farti anche le gatte trasformate in donne?"

"Mi piacerebbe però averle lo stesso", rispose Juno, mentre Yemoja e Xiuhe si chiedevano se era più matta Giovanna, che aveva ideato dei gatti da combattimento, o Juno, che voleva che codesti gatti facessero l'amore e non la guerra.

Yemoja provò a guardare in modo interrogativo Rebecca, che rispose: "Fategliele. Ma rendetele capaci di vivere da sole se Juno si stufa di loro".

"Certamente", rispose Xiuhe, "Tra l'altro, abbiamo il progetto di far partire una nuova clinica privata, e delle dottoresse, infermiere, tecniche di laboratorio, ingegnere biomediche ci farebbero comodo".

"Quante ve ne servono?", chiese Rebecca, ed Yemoja rispose: "Sei".

Rebecca si volse a Juno e le chiese: "Quante gatte allotropiche vuoi per il tuo piacere?"

"Me ne bastano tre", rispose Juno, e Rebecca ribattè: "Quello che vale per il papero vale anche per l'oca. Altre tre gatte me le prendo anch'io".

"Va bene, ve le facciamo", rispose Xiuhe, "Ma se queste gatte poi dormono quattordici ore al giorno, e quindi hanno poco tempo per deliziarvi, siete contente?"

"Va bene", risposero Juno e Rebecca.

Yemoja e Xiuhe si riservarono di definire le caratteristiche delle micie allotropiche, e predisposero le loro placente.

Qualche giorno dopo Yemoja chiese a Juno: "Mi fai pizzicare un attimo il pancino?"

Juno acconsentì, Yemoja le pizzicò anche il mento, il retro dei bracci, l'interno delle cosce, e disse: "Juno, sei un po' ingrassata".

"Vuoi mettermi a dieta?", chiese Juno, e Yemoja rispose: "No. Volevo proporre un altro lipofilling per spostare questo grasso sul seno".

Juno rise: "Faccio già concorrenza a Norma Stitz. A che pro?"

"Vorremmo sperimentare una tecnica innovativa", spiegò Xiuhe, "Sarà la tua placenta arborizzata, opportunamente riprogrammata, a spostare il grasso all'interno del tuo corpo".

"Se è per il progresso della medicina", rispose Juno, "Ci posso anche pensare".

"Però la procedura dura un'intera giornata, dall'alba al tramonto", disse Yemoja, "Ti faremo accomodare su una poltrona speciale per prevenire le piaghe da decubito. Ai tuoi bisogni ci penserà la placenta".

"Va bene", rispose Juno, e Xiuhe aggiunse: "Con l'occasione ti presenteremo le micie allotropiche - prima in forma felina, e poi in forma umana. Si prenderanno cura di te durante l'operazione".

"E mia moglie Rebecca?", chiese Juno, e Xiuhe rispose: "Può stare con te quanto volete. Presenteremo a lei le sue micie allora".

Juno firmò il consenso informato, il mattino dopo fu fatto accomodare sulla poltrona, la placenta inviò una propaggine al suo ombelico, e dopo essere entrata cominciò l'operazione di spostamento delle masse grasse - e di creazione di sostegni sottocutanei, perché c'era altrimenti il rischio che la pelle cedesse sotto il peso del tessuto mammario e si spaccasse.

Il giorno dell'operazione, Juno fu fatta accomodare nella speciale poltrona, e commentò: "Non è opera di un mobiliere - è la foglia di una placenta arborizzata".

"Si adatta meglio di qualsiasi mobile al tuo corpo, Juno", osservò Xiuhe, che aggiunse: "Ora andiamo a prendere le gatte - quelle tue e quelle di Rebecca. Poi cominciamo".

Erano sei magnifiche squame di tartaruga, ognuna con la propria combinazione di colori; tre si strusciarono contro le caviglie di Rebecca, tre, più ardite, saltarono sulla pancia di Juno e si strusciarono contro le sue tette.

"Mi sa che ognuna ha scelto il proprio umano", osservò Yemoja, e Juno e Rebecca annuirono.

Le due ginecologhe Xiuhe e Yemoja portarono nella stanza sette placente arborizzate, ognuna nel proprio vaso, li posero dentro un grande lavatoio, ed aprirono i sette rubinetti dell'acqua, che avevano ognuno una portata da idrante antincendio.

Yemoja spiegò: "Ora trasformeremo le sei micie in sei donne adulte; la settima placenta serve per spostare il grasso di Juno dal pancino al seno".

"Perché le avete messe nel lavatoio?", chiese Rebecca, e Xiuhe rispose: "Come si fa a trasformare una micia di 3,3 Kg in una donna di 65 Kg?"

"Le placente trasformano l'acqua in carne!", rispose Juno, e Xiuhe annuì. Anche Rebecca fu fatta accomodare su una foglia di placenta piegatasi a mo' di sedia, e dalle placente uscirono delle propaggini che raggiusero gli ombelichi delle micie e di Juno.

Dopo pochi minuti si videro le gatte adulte trasformarsi in neonate umane, e poi cominciare a crescere e svilupparsi, diventando in meno di un'ora delle adulte di apparente età anni 18.

Più lento fu il processo per Juno, che vide diminuire la pancia e crescere il seno - ma anche sentire che sotto la pelle stava nascendo una specie di mensola che sosteneva il tessuto mammario. Dopo due ore Yemoja le chiese: "Vuoi arrivare al punto in cui tutto il grasso si concentra nel seno, e si vedono nettamente i confini tra un muscolo e l'altro del corpo?"

"No, non voglio la tartaruga. Fate di me una donna magra, salvo che nel seno, ma non una body builder", rispose Juno, che aggiunse: "Le ragazze non aprono bocca?"

"Stanno imparando la vostra lingua", rispose Xiuhe, "Aspetta ancora un po'".

Alcuni minuti dopo, le ragazze si presentarono: "Ciao, io sono Anna"; "Io Beatrice. Ciao"; "Sono Chiara. Ciao"; "Sono Daniela, e mi piacete"; "Sono Elena. Vi voglio bene"; "Sono Felicia. Vi amo tutte".

Anna, Beatrice e Chiara erano le gatte che avevano scelto Rebecca, si avvicinarono a lei, la abbracciarono, carezzarono e baciarono; Daniela, Elena e Felicia erano quelle che avevano scelto Juno, e fecero lo stesso con lei.

Tutte le gatte allotropiche tentarono un approccio sessuale con le rispettive umane di riferimento, ma Xiuhe dovette dire loro: "Ad Anna, Beatrice e Chiara non dico nulla; a Daniela, Elena e Felicia consiglio di astenersi finché non termina l'intervento che sta subendo Juno. Mi spiace, Juno, non vorrei che si sbilanciasse la distribuzione del grasso mammario".

Rebecca ne fu contenta, in quanto Anna, Beatrice e Chiara le fecero un servizio magnifico; Juno si accontentò di venir coccolata fino alla fine dell'intervento - che riuscì molto bene.

Dopo che anch'ella venne soddisfatta, Yemoja entrò nella stanza e chiese alle sei gatte allotropiche che professione avevano scelto per la loro vita da umane.

Anna rispose: "Sono ingegnera biomedica".

Beatrice: "Ingegnera informatica".

Chiara: "Ingegnera navale".

Yemoja commentò: "Complementate bene Rebecca, che è ingegnera idraulica. Voi altre tre che rispondete?"

Daniela: "Chirurga plastica".

Elena: "Endocrinologa".

Felicia: "Psichiatra".

Xiuhe osservò: "Potreste costituire un'équipe medica specializzata in confermazioni di genere. Se Juno si reiscrive all'albo degli avvocati ..."

"Sono sempre iscritta all'albo", ribattè Juno, "Farò buon uso di queste ragazze".

[Fine]